Omelia di S.E. Card. Beniamino Stella per la Santa Messa in occasione del Giubileo dei Sacerdoti

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Carissimi sacerdoti e seminaristi, in questa Basilica dedicata a Maria, che è Madre della Chiesa e dei Sacerdoti, con grande gioia celebro insieme a voi questa S. Messa, a conclusione dell’odierna giornata di ritiro, vissuta all’interno del Giubileo dei Sacerdoti e resa preziosa dall’ascolto delle parole del Santo Padre, che proprio qui tante volte ha affidato i suoi viaggi apostolici e ringraziato per il loro esito.

 

La chiamata a seguire il Signore nella via del sacerdozio è per tutti noi innanzitutto una chiamata all’amore, per una vita all’insegna dell’amore; amore immeritato, che Dio gratuitamente ci dona; amore dovuto, che siamo inviati a portare e a rendere presente nella Chiesa e nel mondo.

 

Per questo ho colto volentieri la suggestione del brano di Vangelo che è stato appena proclamato per applicare alla vita e al ministero dei sacerdoti i due comandamenti, che Gesù ha posto a fondamento di tutti gli altri: «amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» e «Amerai il tuo prossimo come te stesso»; in essi possiamo cogliere i tre amori che animano e rendono piena e gioiosa la vita del sacerdote: si tratta dell’amore per Dio, per il prossimo e per se stesso.

 

Chiamato da Dio e da Lui reso partecipe della missione di annunciare il Vangelo, il sacerdote è prima di tutto un uomo di Dio, un discepolo innamorato del suo Maestro, che continua a seguire con fedeltà e impegno, senza mai separarsi da Lui e senza perdere il contatto con l’amorosa presenza di Dio nella sua vita; perciò, come ha ricordato Papa Francesco, occorre «non perdere la memoria del primo amore», perché la memoria «è tanto importante per ricordare la grazia ricevuta» (Meditazione a Santa Marta, 30 gennaio 2015).

 

È importante mantenere vivo il ricordo di quando abbiamo avvertito la chiamata – anche tanti anni fa – e di tutte le volte che abbiamo sentito Dio vicino e presente nella nostra vita di preti, nella gioia e nella fatica. Si tratta di momenti concreti, di passaggi della nostra vita reale, non di suggestioni; così, facendolo nella preghiera, rafforzeremo in noi la consapevolezza di essere da sempre oggetto dell’amore misericordioso di Dio, su di noi riversato  con discrezione e delicatezza, ma anche con perseverante fedeltà. L’amore di Dio e per Dio ci libera; e non abbiamo nient’altro prezioso come questo amore da donare alla Chiesa e al mondo con il nostro zelo evangelizzatore.

 

Così, dall’amore per Dio nasce quello per il nostro prossimo, per le persone che ci sono affidate in ragione del nostro ministero o che le circostanze della vita ci fanno incontrare. In questo senso, il nostro prossimo sono tutti i fratelli che incontriamo, ogni uomo e ogni donna, nessuno escluso; prestando maggior attenzione a chi è più nel bisogno, l’amore si rivolge e si offre comunque a tutti, tanto più quella forma di amore propria dei sacerdoti, che è la carità pastorale. L’amore non induce a star fermi, ma spinge a interessarsi, a conoscere e ad agire. Il mondo, quel pezzetto concreto che ognuno di noi abita, è in attesa che Cristo sia annunciato per la prima volta, o reso presente ancora una volta a chi lo ha già conosciuto.

 

L’amore per il prossimo parte dalla preghiera, che il Santo Padre ha definito «il vero motore della vita della Chiesa» (Meditazione a S.Marta, 12 gennaio 2016); la preghiera per noi preti è il luogo in cui portiamo le vicende umane al cospetto dell’amore di Dio, e, al tempo stesso, il momento in cui rinsaldiamo la nostra unione con Dio, per meglio comprendere alla luce del Vangelo le situazioni che il ministero ci mette davanti. Dalla vita alla preghiera, dalla preghiera alla vita; l’orazione per il prete è un dinamismo d’amore, lo unisce a Dio e agli uomini. Pensiamo proprio a Papa Francesco, che sin dall’inizio del suo Pontificato ha dato testimonianza di aver fondato il suo ministero su una preghiera intensa, anche in questa Basilica, e che anche a me personalmente ha confidato l’importanza dello svegliarsi presto al mattino per poter iniziare la giornata nella preghiera e stare con il Signore per un tempo adeguato.

 

Dall’amore per Dio a quello per il prossimo, in altre parole, dalla misericordia ricevuta a quella donata; quanto Dio fa per noi, siamo chiamati a portarlo agli altri, per divenire per tutti strumenti della misericordia divina. È il richiamo che questo anno giubilare ci propone come atteggiamento generale e come attenzione specifica rispetto ad alcuni ambiti del nostro ministero. Penso in primo luogo a una sempre più generosa disponibilità al ministero della Riconciliazione, offrendo ai fedeli regolari e ampie opportunità di trovarci in confessionale, per ricevere il perdono dei peccati ed essere sostenuti nel loro cammino di vita dalla grazia di Dio.

 

Ma mi viene in mente anche una speciale vicinanza a quelle categorie di persone che la nostra società tende a marginalizzare e che il nostro ministero vuole invece ricondurre all’abbraccio di Dio, all’interno della “famiglia” della Chiesa; Papa Francesco ne ha indicate alcune nella Amoris laetitia: «le ragazze madri, i bambini senza genitori, le donne sole che devono portare avanti l’educazione dei loro figli, le persone con disabilità che richiedono molto affetto e vicinanza, i giovani che lottano contro una dipendenza, le persone non sposate, quelle separate o vedove che soffrono la solitudine, gli anziani e i malati che non ricevono l’appoggio dei loro figli, fino ad includere “persino i più disastrati nelle condotte della loro vita”» (n. 197). Visitare queste persone, pregare per loro e con loro, ascoltarle, condividere con loro il nostro tempo e la nostra attenzione; siamo chiamati a «nuovi gesti e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel cammino di accoglienza e cura del mistero della fragilità», riprendendo quanto Papa Francesco ha espresso nella medesima Esortazione Apostolica postsinodale (n. 47).

 

L’amore per Dio e quello per il prossimo attecchiscono e crescono meglio in chi ama davvero se stesso, che per un sacerdote significa custodire la propria vocazione, o, in altre parole, custodire se stesso, perché la vocazione porti tutti i suoi frutti. Il Vangelo ci impone di soffermarci su questo: amiamo noi stessi quando amiamo la nostra vita insieme a Cristo e ai fratelli che Lui ci ha donato; amiamo noi stessi quando ci è chiaro che il luogo per essere felici è quello in cui viviamo – Dio si fa trovare ovunque – non quello ideale, che la nostra fantasia, anche in buona fede, costruisce o ricerca.È il mio presbiterio – nomi e cognomi reali – quello con cui vivere la fraternità presbiterale; è il Vescovo – questo Vescovo – quello che sono chiamato a seguire e con cui sono chiamato a collaborare lealmente.

 

Ama se stesso chi ha unificato in Dio e nel servizio dei fratelli la propria vita e non sente perciò il bisogno di “compensazioni” esterne, anche se lecite;  siamo chiamati a mettere tutta la nostra vita di sacerdoti nelle sue mani, perché Egli è amico e custode della nostra felicità. Sull’altare Lui si mette totalmente nelle nostre mani, nella vita quotidiana è essenziale che noi ci mettiamo totalmente nelle sue, con fiducioso abbandono.

 

Amore per Dio, per il prossimo e per noi stessi sono tre direzioni che prende l’unico, indivisibile amore che siamo chiamati a vivere e a rendere presente con la nostra vita e il nostro ministero. In tal senso un pensiero doveroso desidero rivolgere alla Giornata Mondiale di Preghiera per la Santificazione Sacerdotale, che verrà celebrata domani nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù; essa ci invita a ricordare che la nostra santificazione passa attraverso l’amore, il triplice amore di cui abbiamo parlato, ben esposto dalle parole di Papa Francesco, che ci ha ricordato che «noi crediamo in un Dio che si è fatto carne, che ha un cuore e questo cuore oggi ci parla così: “Venite a me. Se siete stanchi, oppressi e io vi darò ristoro. Ma i più piccoli trattateli con tenerezza, con la stessa tenerezza con cui li tratto io”. Questo ci dice oggi il Cuore di Gesù Cristo» (Omelia, Terzo ritiro mondiale dei sacerdoti, 12 giugno 2015).

 

Affidiamo al Cuore pieno d’amore di Cristo e all’intercessione di Maria la santificazione e il servizio ministeriale di noi tutti, ognuno dove è stato chiamato, perché possiamo vivere sempre un ministero di gioia, strumento nelle mani di Dio per penetrare in ogni cuore e riempirlo del suo amore. Buon Giubileo a tutti voi!